Viaggiare con i bambini

Ormai sono quasi 8 anni che vivo fuori dall’Italia ,percui viaggiare é diventata un’ abitudine dato che ritengo importante poter abbracciare i miei cari che vivono a Milano.

Farlo con i bambini,non sempre é facile.La scorsa estate ho viaggiato sola con loro(Olivia aveva 4 anni e Leo 2),una volta atterrati a Linate mi sono sentita Wonder woman. Mi ero resa conto di essermi organizzata bene.E cosi anche in questo ultimo viaggio che abbiamo fatto in Argentina ho deciso di ripetere alcune strategie da riutilizzare,come ad esempio organizzare uno zainetto per entrambi contente cose che non avevano mai visto prima e giochi preferiti:

Stickers,album da colorare,timbri,colori,tablet per disegnare,bambole di piccole dimensioni,macchinine,dadi per raccontare storie(li trovate da Tiger!)pongo..

Questo viaggio peró a differenza di quello per l’Italia,nonostante fossimo due adulti é stato piú complicato.I bambini hanno giocato parecchio con i loro giochi ma, la durata si é fatta sentire.Non mi riferisco a quella del volo(13 ore)perché dato che abbiamo scelto di viaggiare di notte,hanno dormito quasi tutto il tempo.

Mi riferisco all’attesa in aereoporto. Da La Coruña non esistono voli diretti a Buenos Aires e cosí sia all’ andata che al ritorno abbiamo dovuto attendere 5 ore a Madrid per il secondo volo. Cinque ore interminabili.

I bambini hanno:giocato con il rispettivo contenuto degli zaini,se lo sono scambiati,si sono rincorsi nella sala d’attesa,hanno giocato a nascondino,hanno improvvisato un pezzo di carta immaginando fosse una palla,hanno cantato,hanno riso,hanno pianto,hanno litigato e cosí ,forse piú per esigenza mia(ero stremata)ho consapevolmente deciso di fargli vedere un cartone animato dal mio cellulare.

Mi sono sentita una cattiva madre?No. Perché ero consapevole di quello che stavo facendo:ho guardato il cartone insieme a loro,ho spiegato il motivo per il quale avevo deciso di fargli vedere qualcosa(Leo fino a quel momento non sapeva che dal mio telefono si potessero vedere i cartoni animati),ho spiegato in anticipo che terminato il cartone avremmo giocato a qualcosa e avremmo messo via il telefono. In questo modo l’attesa si é affievolita. Ritengo che l’importanza non sta nel dare il telefono come se fosse una babysitter e di non utilizzarlo come prima opzione, ma sopratutto nell’ accettare i propri limiti e preferire la serenitá mentale con un cartone animato che cadere nelle urla e minacce pur di non cedere a un “aiuto” con la tecnologia.

Spero averti dato spunti di riflessione,se vuoi commentare o suggerirmi delle tue strategie da attuare durante i viaggi ti leggo con molto piacere.

Il cervello come una casa in costruzione

Lo psichiatra D.Siegel spiega,in forma originale,la struttura del cervello invitandoci a immaginarlo come se fosse una casa con un piano superiore ed uno inferiore collegati da una scala.

Al piano di sotto risiedono i compiti primitivi:troviamo l’ amigdala una struttura dove risiede l’ elaborazione di emozioni come la rabbia,la paura..e qui sono presenti: l’istinto di sopravvivenza(attacco,fuga)i bisogni primari(fame,sonno)e le azioni involontarie(respirazione,battito di ciglia).Al piano di sopra risiede la corteccia prefrontale e quindi la capacitá di decidere,di controllare il corpo e le emozioni,l’empatia..

Quando i due piani lavorano insieme riusciamo a prendere decisioni importanti come ad esempio pensare alle conseguenze di una determinata scelta,oppure riusciamo a provare empatia verso gli altri,rispondere a una domanda con giudizio ecc..

Quello di cui dobbiamo tenere a mente é che la corteccia prefrontale arriva a completa maturazione attorno ai 24/25 anni di etá,quindi quando i nostri figli di 2,5,7 anni fanno i ¨capricci¨ e noi li puniamo,li giudichiamo,li etichettiamo non li stiamo aiutando a creare quel collegamento tra i due piani.Quale genitore non desidera che il proprio figlio abbia successo nella propria vita?che sia felice,che sia un adulto sicuro di sé capace di poter prendere delle decisioni in maniera sicura?Eppure noi genitori siamo i primi a impedire loro di allenarsi al ricongiungimento dei due piani.Come lo facciamo?

– Evitando di farli parlare davanti a un episodio,ma traendo noi le conclusioni –Impedendo loro di trovare la soluzione a un problema e offrirgliela su un piatto d’ argento –Negandogli la scelta su una competenza che loro hanno acquisito –Minimizzando le loro emozioni

Noi siamo il loro esempio.Se vogliamo che imparino a sviluppare al meglio la parte superiore del cervello dobbiamo essere noi per primi a mostrare loro come fare,bisogna prestare attenzione al modo in cui rispondiamo agli eventi,agli imprevisti e come reagiamo alle nostre emozioni,sopratutto quelle piú difficili da gestire.E in che altro modo possiamo allenarli attraverso l’esempio?

–Dimostrando empatia,rispetto verso gli altri –Dimostrando come ogni scelta noi prendiamo abbia delle conseguenze –Chiedere la loro opinione e lasciare che possano argomentarla

Se vogliamo trasmettere determinati valori di vita ai nostri figli,abbiamo il compito di attuare delle scelte giornaliere in linea con i nostri principi.

Ricordatevi che educhiamo come siamo,con la nostra essenza ,non come ci piacerebbe essere.

Un abbraccio

Paola

Bambini e bambine senza etichette

“Sei proprio monello”,¨sei disordinata¨,¨sei bravissimo¨. Li sentiamo tutti i giorni,da amici,zie,nonni ma tutti questi aggettivi:”monello,disordinata,bravo “sopratutto se ripetuti costantemente possono diventare macigni verso chi li riceve.Le etichette sono deleterie,tanto é facile metterle, tanto é difficile scrollarsele di dosso.

Le etichette ci limitano ,ci incasellano e ci dicono come siamo e come dobbiamo comportarci.Pensate a una famiglia composta da: una mamma,un papá,un bambino e una bambina.Immaginiamo che uno dei due bambini mettiamo il caso sia la femmina, viene definita quella “brava” .Ecco il posto é giá stato occupato e quindi provate ad indovinare come verrá etichettato il fratello?

Siamo cresciuti con l ‘idea che per elogiare e rafforzare l’ autostima di un bambino é fondamentale dire “bravo!”,ci concentriamo sul risultato quando invece quello che dovremmo trasmettere ai nostri figli é il processo,il lavoro e il cammino che stiamo percorrendo.In questo modo saranno in grado di godersi il momento il qui ed ora e non focalizzarsi sul futuro.

Quindi anziché giudicare la persona,descriviamo il comportamento.Il bambino non é monello,ma gli possiamo dire ¨non picchiare tuo fratello,usa le parole¨ .(attenzione al tono di voce perché puó suonare come castigo o essere una buona occasione di educazione rispettosa) La bambina che recita una filastrocca non é brava,ma le possiamo dire”vedo che l’hai ripetuta un sacco di volte,ti senti soddisfatta?”

Etichettare bambini é diverso da etichettare adulti.In entrambi i casi é bene evitarlo ma é fondamentale sapere che se succede in etá adulta sará difficile che una etichetta possa “sconvolgere” il pensiero che si ha su noi stessi.Semplicemente perché siamo adulti,ci conosciamo e abbiamo un bagaglio di esperienze alle nostre spalle.Ai bambini tutto questo manca ed é per tale motivo che prendono alla lettera tutto ció che gli si dice.

A tale proposito ricordo perfettamente,quando ero incinta di Leo mi dissero”vedrai adesso con il maschietto,le bambine sono molto piú tranquille”,li per li mi fece sorridere ma poi ci pensai e mi resi conto che se l’ avessero detto a una donna incinta un po piú vulnerabile queste frasi avrebbero creato delle aspettative,creato immagini dato che non sono genuine e sopratutto non sono veritiere.

Quando ero piccola la mia etichetta era timida.Incredibile vero?Quando mi trovavo in un contesto nuovo preferivo osservare prima di relazionarmi con gli altri ed é lí che venivo etichettata cosí. Mi ci é voluto davvero tanto per riuscire a togliermela di dosso sopratutto perché era il contesto familiare a definirmi in questo modo.

Prova a pensarci..a te che etichetta ti era stata posta quando eri piccola/o?

Paola

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